Inizio queste mie note chiarendo che pagano pegno al mio impegno quotidiano sul fronte della missione paolina, alla mia professione giornalistica, e quindi poco avvezzo ai rimandi in nota, alle analisi, alle elaborazioni concettuali, per le quali sono evidente-mente debitore a tanti studi e a tanti padri.
La mia riflessione si limiterà a ripercorrere qua e là vie ben battute. E non può essere diversamente. Facendo in ogni caso tesoro dell’ammonimento di Romano Penna: «Non addomesticate san Paolo»; al quale credo sia obbligatorio aggiungere e integrare da parte nostra: «Non addomesticate l’Alberione». Che avverte per un verso: «Non ci siamo messi sopra una strada per andare a zonzo, ma con meta fissa e mezzi studiati e perfezionati»; e avrebbe potuto esortare con le parole di don Silvio Sassi, Superiore generale: «Il carisma paolino è nomade come san Paolo che intraprende i suoi viaggi; il carisma paolino è, per sua natura, in movimento, dinamico, attento ai cambiamenti, capace di individuare e integrare il nuovo; il carisma paolino non è sedentario, ma in continuo pellegrinaggio verso Dio e verso i contemporanei».
Vorrei circoscrivere – per così dire – questi appunti sul tema con due apologhi, che evocano ricadute negli atteggiamenti e nello stile della nostra vita religiosa e del nostro impegno apostolico.
Ecco, allora, la storia di un pellegrino che passò davanti a un uomo seduto in un campo. Lì vicino altri uomini lavoravano attor-no a un edificio.
– Sembri un monaco – disse il pellegrino.
– Lo sono – rispose il monaco.
– E chi sono quelli che lavorano all’abbazia?
– Sono i miei monaci, io sono l’abate.
– Oh, è meraviglioso – commentò il pellegrino –, è molto bello vedere come si costruisce un monastero.
– Lo stanno demolendo – precisò l’abate.
– Demolendo? – sussultò il pellegrino – Perché mai?
– Per poter vedere il sole che sorge – disse l’abate.
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